di Roberto Bertoni

A dire il vero, lo pensavo anche prima; tuttavia, dopo la decisione assunta da Alessandro Di Battista di non di ricandidarsi per un secondo mandato, ho avuto la conferma definitiva: la prossima legislatura sarà un calvario. Occhio, tuttavia, a dire che sarà breve: sempre in questi giorni, ho ritrovato infatti alcuni articoli del 2008 e del 2013 in cui si preconizzava una legislatura rapida ed un pronto ritorno alle urne e invece l'amor di poltrona di molti nominati ha avuto la meglio finanche sul buonsenso che, in entrambi i casi, avrebbe in effetti consigliato di chiudere con largo anticipo l'agonia di un percorso parlamentare e governativo palesemente insostenibile. Attenzione, dunque, a lasciarsi andare a previsioni avventate: quando ci si occupa della politica italiana contemporanea, bisogna sempre tener presente che essa, nella sua feroce pochezza e inconcludenza, possiede comunque una resilienza ed una capacità di fare muro di gomma al cospetto di ogni bordata senza precedenti.

Ciò premesso, se anche il narcisista pentastellato, autore di un libro uscito questa settimana e intitolato "Meglio liberi", ha deciso di star fuori almeno un giro  è per una serie di motivi che offrono interessanti spunti di riflessione. La volontà di non fare ombra a Di Maio ed il tangibile dissenso su alcuni punti cruciali del programma di quest'ultimo hanno la loro importanza, certo, ma sappiamo bene che il Dibba, essendo un furbacchione, sia pur in buona fede, non lo ammetterà mai. Anche la regola dei due mandati, che è un'assoluta scemenza ma che il nostro rivendica invece con orgoglio, probabilmente credendoci davvero, ha giocato la sua parte, non c'è dubbio: meglio aspettare e semmai tornare in scena in una fase storica meno delicata e convulsa di quella attuale, deve essersi detto il deputato romano. È però il terzo aspetto, strettamente correlato agli altri due, ad essere decisivo: Di Battista, che non è uno stratega politico ma un abile istrione, molto simile in questo a Beppe Grillo, ha capito perfettamente che chiunque decida di immergersi in quella vasca di squali che è diventato il Parlamento italiano, da marzo in poi sarà costretto ad accettare tanti di quei compromessi e di quelle nefandezze che difficilmente potrà essere ancora credibile la volta successiva. E il Dibba questo, a differenza di un eventuale fallimento politico, non se lo può permettere.

La sua immagine di cavaliere senza macchia e senza paura, di alfiere degli ultimi e dei deboli, di Guevara senza sierra ma con tanti illustri nemici pronti a rafforzarne l'immagine di condottiero e combattente per la libertà degli oppressi dal sistema partitocratico può sopravvivere a tutto ma non dall'anonimato. E il nostro eroe sa che l'assurda strategia grillina di rifiutare la logica delle alleanze e di correre sempre e comunque da soli, in nome di una presunta purezza identitaria che è più presunzione e paura di cimentarsi con i problemi del Paese che effettiva analisi sui guasti prodotti dalle altre forze politiche negli ultimi venticinque anni, tutte queste caratteristiche del soggetto che ha scelto per fare politica e, diciamolo chiaramente, acquisire la notorietà che oggi gli consente di essere, suo malgrado  un protagonista del nostro dibattito pubblico lo avrebbero confinato in un ruolo secondario.

Con Di Maio e la sua pattuglia di fedelissimi a fare la parte del leone e a sbraitare furiosamente da mane a sera contro un governo di centrodestra o, peggio ancora, contro l'ennesimo pateracchio renzusconiano, il Dibba avrebbe potuto recitare, al massimo, un ruolo da comprimario. Viaggiando in giro per il mondo, scrivendo i suoi "diari della motocicletta" e concedendosi ben più di una comparsata in televisione da battitore libero, state pur certi che il nostro continuerà ad avere una centralità politica di tutto rispetto, con ogni probabilità superiore a quella dello stesso Di Maio.

Verrà richiamato dai suoi a furor di popolo, con la supplica di riportare il movimento alle origini e, possibilmente, un po' più a sinistra dopo la sbandata andreottiana del giovane leader campano? Non è da escludere, ma il Dibba il biglietto vincente della lotteria l'ha già giocato e ora è pronto a passare, nel senso buono del termine, all'incasso.

Non va meglio da altre parti. Per quanto concerne la pattuglia renziana, si può dire, ricorrendo al titolo di un celebre film, che ha ballato una sola estate e che, molto probabilmente, anche coloro che a marzo riusciranno a farsi riconfermare alla Camera o al Senato non avranno, poi, un futuro politico, vivendo per lo più della luce riflessa di un personaggio ormai in declino, come si evince dalle rumorose assenze registrate alla Leopolda, compresa quella del premier Gentiloni.

Quanto al centrodestra, a parte la Lega e Fratelli d'Italia, che un loro radicamento territoriale e una loro classe dirigente, locale e nazionale, ormai ce l'hanno da tempo, è evidente che Berlusconi abbia deciso di affidarsi ad un casting che non prevede la riconferma di molti degli attuali rappresentanti, con il rischio che anche la cosiddetta "società civile", tanto cara all'uomo di Arcore, sia costretta a tornare prima del previsto al propri mestiere.

Insomma, la prossima non sarà una legislatura: sarà una barbarie. Che duri pochi mesi o cinque anni pieni, sarà una catastrofe per l'Italia, poiché si confronteranno tre populismi complementari più una sinistra che si è svegliata troppo tardi, ritardando di almeno due anni la scissione dal PD e non riuscendo ad aggregarsi intorno ad un programma chiaro, credibile e convincente ma, al massimo, intorno alla splendida figura di un galantuomo come Pietro Grasso (sempre che accetti), il quale tuttavia mette a nudo un altro limite di questa stagione, ossia l'incapacità dei quarantenni di giocarsi la partita in prima persona.

Perché si riapra un discorso a sinistra ci vorrà, dunque, un cambio generazionale, il che presuppone umiltà, impegno, formazione e soprattutto tempo, a meno che non ci si voglia affidare ad un'altra informata di figurine in stile Leopolda, con i millennials o giù di lì a fare da tappezzeria in uno scenario già ben delineato e con tutti i ruoli assegnati in partenza. Se la sinistra, al contrario, vuole tornare a parlare agli ultimi, ai deboli, agli emarginati, ai poveri e ai dannati di una globalizzazione iniqua e sregolata, non può e non deve essere questo né può permettersi di mettere le chiavi in mano ad una generazione sì volenterosa e animata dal furore che le deriva dal fatto di essersi formata nel fuoco della crisi ma ancora oggettivamente inesperta e inadeguata a confrontarsi con una campagna elettorale che si preannuncia furibonda e senza esclusione di colpi.

L'impressione, in conclusione, è che fra pochi mesi assisteremo comunque ad elezioni inutili, preludio ad una legislatura dannosa, a maggioranze spurie e a leggi sbagliate se non proprio pessime. Sarà l'ultimo giro di giostra un po' per tutti, poi bisognerà provare a ricostruire sulle macerie lasciate da questi anni maledetti e sarà un'impresa ai limiti dell'impossinile ma ineludibile per chiunque voglia cimentarsi seriamente con la politica ed occuparsene in modo pulito.

Quanto a Di Battista, sia che l'abbia fatto in maniera sincera sia che l'abbia fatto per furbizia, ci ha visto giusto. Che poi Di Maio non si accontenti del doppio mandato e miri a rimanere in sella ancora a lungo è solo una mia illazione, naturalmente malevola come tutte le illazioni.

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