di Roberto Bertoni.

"Basta con il teatrino della politica!". "Basta con i politici di professione!". "Porteremo al governo venti ministri, di cui dodici saranno persone che non hanno mai fatto politica". Fra Renzi, Di Maio e Berlusconi è tutto un fiorire di dichiarazioni di questo tenore, lungo il percorso inaugurato dall'ex Cavaliere nel '94 e purtroppo mai adeguatamente contrastato né dai suoi successori né da quelli che sarebbero dovuti essere i suoi avversari.
Sta in queste affermazioni la sconfitta della politica: definitiva, straziante, senza possibilità d'appello. Sta in queste affermazioni, gravissime ed umilianti, la scomparsa de partiti, con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti e un malessere e un malcontento sociale che non trovano più né uno sbocco né una comunità in grado di farsene carico, dunque sfociano inevitabilmente nel livore e nel rancore personale.
Per quanto mi possa stare antipatico Salvini, sta in questa progressiva dissoluzione dei corpi intermedi anche la ragione profonda della tentata strage di Traini: nella mancanza di un argine, di una diga capace di contenere la sua furia, la sua follia e la sua barbarie. La responsabilità di Salvini, semmai, è quella di continuare a usare un linguaggio ambiguo sulla marea nera che monta nel Paese e di aver alimentato le peggiori pulsioni anti-europeiste che circolano nella società, di cui le chiusure pseudo-identitarie e una certa tendenza al razzismo costituiscono l'apice.
Prendersela con il segretario del Carroccio, tuttavia, può risultare confortante ma non aiuta a comprendere i sentimenti fetidi che covano sotto la cenere di una società sfiancata dalla crisi e resa disumana dalla mancanza di prospettive e di certezze.
E anche pensare che tutti gli elettori della Lega siano dei seguaci del "Mein Kampf" o degli assidui lettori de "La difesa della razza" di Telesio Interlandi può fornire risposte semplicistiche a interrogativi enormi e confortare momentaneamente i nostri dubbi e il nostro sgomento di cittadini democratici e animati da un sano spirito repubblicano ma non aiuta minimamente a comprendere quello che è il motore vero di questo furore retrivo.
Possiamo, infatti, anche continuare a illuderci che il voto leghista, o peggio ancora, o una parte di quello dato al M5S costituisca un fenomeno temporaneo e destinato a sgonfiarsi nell'arco di qualche tempo, riconducendo la società all'assetto più o meno bipolare che ha caratterizzato una parte della Seconda Repubblica: possiamo anche coltivare questa speranza ma è una chimera.
La realtà ci dice chiaramente che il voto di rabbia, di protesta e di disperazione non si placherà fino a quando i genitori non vedranno  propri figli sistemati, i giovani precari non avranno la percezione di poter mettere su una famiglia, comprarsi una casa e guadagnarsi quell'autonomia che mai era stata preclusa alle generazioni precedenti, i disoccupati non torneranno quanto meno a cercare un lavoro, i piccoli commercianti e artigiani non si sentiranno più soffocati da un peso fiscale che considerano insopportabile, gli insegnanti non avranno nuovamente la possibilità di accompagnare i propri ragazzi dal primo all'ultimo anno di un corso e questi ultimi non si sentiranno nuovamente stimati, compresi e guidati anziché vessati da riforme sbagliate, dannose e controproducenti come la Buona scuola del duo Renzi-Giannini. Affinché questo avvenga, però, è indispensabile restituire alla politica la propria dignità e il rispetto che merita, smetterla con questo mito fasullo della società civile contrapposta ai politici di professione, per definizione incivili, va a capire perché, ricostruire una soggettività politica degna di questo nome, rendere giustizia al concetto di ideologia, riaprire sedi e comitati locali e tornare a dire con la dovuta franchezza dove si vuole andare a parare, quale modello sociale si ha in mente e quali interessi si intende rappresentare. E basta con fiori, gigli di campo, violette, animali, nomi insulsi e fesserie variamente assortite che non hanno fatto altro che mascherare una crisi del concetto stesso di partito che oggi appare irreversibile.
Del resto, basti pensare al fatto che per coloro che "hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario" la Costituzione non si limita a prevedere l'assegnazione di un vitalizio ma ne consente la nomina, ad opera e per scelta del Capo dello Stato, a senatore a vita per rendersi conto di quale importanza avesse la politica per i padri costituenti e quanta debba tornare ad averne nella nostra società depoliticizzata e, dunque, incapace di fare fronte comune a un qualsivoglia problema, di percepirsi come una comunità solidale in cammino e di venirsi incontro in una fase storica nella quale è ormai chiaro che il mito del cittadino solitario, tipicamente thatcheriano e liberista, ha fallito in ogni angolo del mondo. La differenza fra noi e gli altri è che altrove una parvenza di partiti è rimasta: da noi regna il caos e le elezioni del prossimo 4 marzo rischiano di far sprofondare il Paese nell'incertezza più assoluta.
Al che, viene da chiedere a tutte le formazioni politiche, a cominciare dalle compagini il cui cuore, almeno sulla carta, batte a sinistra, un grande atto di coraggio: rinunciare a frasi fatte e luoghi comuni, smetterla di inseguire l'incultura dello scontrino e dei tagli indiscriminati ai costi della politica, tornare a parlarne con rispetto e quasi con sacralità, accantonare ogni forma di violenza verbale e recuperare il rispetto assoluto per le istituzioni che caratterizzò i padri del dopoguerra. Con meno di questo, resterà soltanto la barbarie dell'incompetenza, la ferocia di chi odia la politica e la pochezza di chi non capisce che un paese senza politica, qualunque esso sia, è già di per sé una dittatura.
Poniamo, pertanto, fine alla stagione delle veline e delle vallette, dei candidati improvvisati e dell'esaltazione dei neofiti: non ce la possiamo più permettere ed è bene che i giovani imparino che per raggiungere determinati obiettivi bisogna studiare, impegnarsi e, più che mai, rispettare il prossimo e, in particolare, chi ha qualcosa da insegnare e un'esperienza di vita di gran lunga superiore alla propria.
Presunzione, malvagità e superficialità hanno già provocato abbastanza disastri: continuare a esaltarle come se si trattasse di virtù sarebbe un atteggiamento masochistico, oltre che un'indecenza.

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