Non è accettabile un regionalismo non solidale ex art.116 c.3, Cost.

APPELLO

Al Presidente della Repubblica
On. Sergio Mattarella

Al Presidente della Camera dei deputati
On Roberto Fico

Alla Presidente del Senato della Repubblica
Sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati

Al Presidente del Consiglio dei ministri
Prof. Giuseppe Conte

Al Ministro dell’economia e delle finanze
On. Roberto Gualtieri

Al Ministro per gli affari regionali e le autonomie
On. Francesco Boccia

Al Ministro per il Sud e la coesione territoriale
On. Giuseppe Provenzano

Ai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome

Ai Presidenti dei Gruppi parlamentari della Camera dei deputati

Ai Presidenti dei Gruppi parlamentari del Senato della Repubblica

Agli onorevoli Deputati, Agli onorevoli Senatori

Il 4 agosto 2020, al termine dell’incontro al Quirinale per la celebrazione del cinquantenario delle Regioni, il Ministro Boccia dichiarava che l'emergenza Coronavirus aveva spinto l’Italia in una nuova fase del regionalismo, in cui “Il Paese è diventato tra i più sicuri al mondo grazie alla collaborazione tra Stato e Regioni fatta in emergenza assoluta. Oggi abbiamo il dovere di completare l’attuazione del Titolo V, completando il progetto di autonomia differenziata”. In audizione il 18 novembre nella Commissione bicamerale per le questioni regionali il Ministro, di nuovo esaltando la qualità del servizio sanitario, ha affermato che con la crisi Covid il regionalismo italiano vive una nuova fase, fondata sulla collaborazione e sulla concertazione.A nostro avviso, invece, proprio la crisi Covid smentisce clamorosamente le parole del Ministro. Lo provano le differenti capacità dei territori di rispondere all’emergenza, che hanno svilito il servizio sanitario nazionale configurato nella legge 833 del 1978, e i ricorrenti contrasti tra Stato e Regioni. Tutto concorre a dimostrare che una pandemia non si affronta con i localismi. Le parole di Mattarella ne danno testimonianza. E proprio per la crisi Covid voci autorevoli hanno chiesto di recuperare al centro la tutela della salute.

Sono al tempo stesso forti i timori che l’autonomia differenziata accresca ancora i divari territoriali e le diseguaglianze nei diritti fondamentali, e apra uno scenario di frantumazione del paese e di lesione dell’unità della Repubblica. Rischi contro i quali il ddl sull’attuazione dell’autonomia differenziata (cd legge-quadro) non offre adeguate garanzie.

Diversamente da quanto era stato annunciato, la legge-quadro non è stata fin qui presentata come ddl collegato alla legge di bilancio. Laddove confermata, una rinuncia in tal senso andrebbe accolta positivamente perché aprirebbe la possibilità di azzerare il procedimento fin qui seguito e di ripartire su basi nuove. È indispensabile uscire dai limiti angusti della trattativa tra il governo e singole regioni, che apre la via a egoismi territoriali non consentendo invece di giungere a una corretta lettura dell’art. 116, comma 3, della Costituzione che salvaguardi l’interesse nazionale e l’eguaglianza nei diritti.

A tal fine un primo indispensabile passo è un ampio confronto parlamentare, per definire i limiti da osservare nell’attribuzione di “forme e condizioni particolari di autonomia”, e le modalità del pieno coinvolgimento delle assemblee elettive nelle decisioni di merito. Questo è l’obiettivo che vi chiediamo nell’immediato di perseguire, evitando qualsiasi forzatura.

Grazie per l'attenzione.

Giuseppe Benedetto Presidente Fondazione Einaudi

Francesca Chiavacci, Presidente ARCI

Rossana Dettori, Segretaria confederale CGIL

Jacopo Ricci, Presidente NOStra

Massimo Villone, Presidente Coordinamento per la democrazia costituzionale

NOTA di APPROFONDIMENTO

Il pluralismo e l’articolazione delle istituzioni repubblicane sono e devono essere moltiplicatori di energie positive, ma questo viene meno se, nell’emergenza, ci si divide. Dobbiamo far ricorso alle nostre capacità e al nostro senso di responsabilità, per creare convergenze e collaborazione tra le forze di cui disponiamo perché operino nella stessa direzione. Anche con osservazioni critiche, sempre utili, ma senza disperderle in polemiche scomposte o nella rincorsa a illusori vantaggi di parte, a fronte di un nemico insidioso che può travolgere tutti.

(Intervento del Presidente Sergio Mattarella, per l’apertura della XXXVII Assemblea ANCI, 17.11.2020).

Il DDL Boccia come legge-quadro applicativa dell’art.116. c.3, Cost. non fornisce risposta sui seguenti punti cruciali e ineludibili:

1) Natura della legge di recepimento delle intese, emendabilità delle stesse e ruolo del parlamento.

Va affermata la natura sostanziale della legge di approvazione delle intese con la più ampia e incondizionata facoltà del Parlamento di proporre modifiche, indirizzare, accettare o rigettare le intese medesime. Al contrario, ove si ritenesse tale legge puramente formale – come quelle che approvano le intese ex art. 8 Cost. – si produrrebbe un mutamento costituzionalmente illegittimo della forma di governo e di Stato. Infatti potrebbero ritenersi ridimensionati in modo inammissibile i poteri del PdR di rinvio alle Camere della legge di approvazione e pure quelli della Corte Costituzionale sui contenuti dell’intesa, e assisteremmo all’insostenibile paradosso per cui il Parlamento continuerebbe ad essere titolare del potere di revisione costituzionale della distribuzione delle competenze di cui all’art.117 cost., ma non avrebbe alcun potere nel caso in cui una diversa distribuzione delle competenze venisse decisa ex art. 116 cost. da una intesa degli esecutivi regionali e nazionale.

Andrebbe piuttosto considerata, come il PdR stesso ha sottolineato, l’attuazione del disposto dell’art.11, commi 1 e 2, della L. 3/2001, integrando la Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni, delle Provincie autonome e degli Enti locali.

2) Condizioni necessarie per qualsiasi attribuzione di maggiore autonomia A. Va detto in premessa che le “forme e condizioni particolari di autonomia” possono – non devono – essere attribuite rispettando il principio dell’unità e indivisibilità della Repubblica sancito dall’art. 5 Cost., e specificato dall’art. 120 in termini di unità giuridica ed economica.

Appare dunque di per sé insostenibile la richiesta di maggiore autonomia in tutte o nella grande maggioranza delle materie ex art. 117, commi 2 e 3, Cost., che viene avanzata dalle bozze di intesa fin qui note. Va preliminarmente notato che nelle materie concorrenti la potestà legislativa di dettaglio è già della regione. Dunque, se fosse richiesto un trasferimento di potestà legislativa, si intaccherebbe la potestà statale di dettare i principi fondamentali, con evidente lesione del modello generale dell’art. 117.

In ogni caso, si produrrebbe una disarticolazione del paese, come si mostra in specie vero laddove si consideri la devoluzione di materie quali “porti e aeroporti civili” , “grandi reti di trasporto e di navigazione”, “ordinamento della comunicazione”, “ produzione trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” , “tutela e sicurezza del lavoro” , “alimentazione”, “governo del territorio”. Nella conseguente frammentazione la Repubblica una e indivisibile non potrebbe sopravvivere. Lo stesso vale per la scuola, per la valenza di fondamento dell’identità nazionale che ad essa deve riconoscersi. Mentre la pandemia in atto dimostra con assoluta evidenza come la regionalizzazione estrema abbia prodotto

squilibri inaccettabili nella tutela di un diritto fondamentale come quello alla salute, ed abbia altresì gravemente indebolito la capacità di fare fronte all’emergenza.

B. Qualunque riconoscimento di autonomia differenziata deve trovare fondamento e giustificazione nella dimensione regionale dell’interesse, che collega la richiesta a specifiche esigenze della Regione richiedente e la rende compatibile con l’unità della Repubblica. Ciò vale per tutte le richieste di maggiore autonomia, e in modo particolare per quelle avanzate in materie assegnate alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, come le “norme generali sull’istruzione”, e la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. In tali materie il rischio di ledere il principio di unità della Repubblica è particolarmente alto. Sul punto i pre-accordi sottoscritti il 28 febbraio 2018 e le intese provvisorie successivamente raggiunte non hanno mai fornito risposta, limitandosi a genericissimi e apodittici richiami.

La legge-quadro proposta non può rispondere alle esigenze qui indicate. È infatti inidonea, in quanto legge ordinaria, a porre limiti alle leggi che approvassero intese di contenuto difforme, verso le quali non è gerarchicamente sovra-ordinata. Non può in specie considerarsi norma interposta prevalente rispetto a quelle disapprovazione delle intese, per l’inapplicabilità del modello alle leggi ex art. 116., co. 3, della Costituzione. Si potrebbe, al più, affermare nella legge-quadro il principio, di valenza politica, che talune materie non consentono alcuna forma di maggiore a particolare autonomia per la valenza strategica ai fini dell’unità nazionale, come ad esempio – per ragioni diverse – la scuola o le grandi infrastrutture.

L’inadeguatezza della legge quadro non viene superata dalla sola previsione di una disciplina per la definizione dei LEP. I livelli essenziali delle prestazioni non potrebbero né prevenire né impedire la frammentazione del paese derivante dall’autonomia differenziata. Attengono infatti al livello del servizio, e non all’organizzazione dei poteri pubblici che lo forniscono. La prova si trae dai LEA, equivalente sanitario dei LEP, che non hanno evitato il sostanziale dissolvimento del servizio sanitario nazionale.

3) Definizione dei LEP e dotazioni finanziarie

I LEP possono essere - a seconda del modo in cui si costruiranno - argine alla diseguaglianza ovvero positivo fattore di uguaglianza. La preventiva definizione dei LEP e dei fabbisogni è la condizione per determinare le risorse necessarie a finanziarli e non viceversa come sinora avvenuto. I diritti civili e sociali sono il fine, la disponibilità e l’efficienza economica sono il mezzo per raggiungere quel fine: così anche la Corte Cost. con la sentenza 275/2016. I Lep, cioè i Livelli essenziali – non minimi – delle prestazioni relative a sanità, istruzione, lavoro, non autosufficienza, prestazioni sociali, ambiente, devono trarre la loro base giuridica e politica dai principi e dagli scopi rinvenibili nelle leggi quadro nazionali, così come la L. 833/1978 istitutiva del SSN lo è per i LEA, e devono essere adeguatamente finanziati o si rischia che la loro sola definizione sia del tutto insufficiente a garantirne l’esigibilità e l’uniformità in tutta la nazione.

Una volta definiti i LEP, sarebbe fondamentale definire a legislazione vigente – a proposito dei soggetti istituzionali che dovranno dare applicazione ai medesimi- “un sistema integrato di livelli istituzionali che operino nei territori di competenza e nell’interesse della cittadinanza in un quadro di principi inderogabili e universali”

(documento sul Titolo V della CGIL nazionale, febbraio 2018)

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