di Goffedo Adinolfi - traduzione curata dall'autore da Diario de Noticias.

A due giorni dalle elezioni politiche italiane il quadro è ancora fluido. La coalizione di centro destra, nonostante si attesti poco sotto il 40%, non ottiene la maggioranza assoluta dei seggi. Il Movimento 5 Stelle, il grande vincitore di questa tornata, è, con il 30% circa dei voti , il primo partito e, quindi, il perno centrale per la futura vita politica del paese. Il centro sinistra fatica, e probabilmente raggiungerà a malapena il 25%. Questi dati tuttavia dicono poco perché è possibile che le alleanze pre-elettorali si sfaldino e che il nuovo esecutivo sia il risultato di una ricomposizione di forze al momento imprevedibile.

Detto questo ci sono alcuni dati certi che possono essere comunque tracciati fin da ora. La seconda repubblica, nata sull’onda dei processi di Mani Pulite contro la classe dirigente della prima, è ufficialmente morta. I risultati delle elezioni del 4 marzo scorso sono inequivocabili. A vincere è il populismo nella sua forma più pura. La Lega di Matteo Salvini, non più nord come un tempo, moltiplica per tre i suoi voti: dal 5% al 17% superando clamorosamente Forza Italia che ha visto precipitare i suoi consensi dal 30% circa del 2001 al 14,4%. Alla base di una affermazione così consistente un discorso sovranista, xenofobo e antieuropeo. Sulla stessa linea della Lega, pur con accenti differenti, la terza gamba del centro destra, Fratelli d’Italia (FdI), gli eredi di quello che fu il Movimento Sociale Italiano, con nel simbolo la fiamma che arde sul tumulo di Benito Mussolini, che passa dal 2 al 4%.

Lega, FdI, M5S insieme aggregano più della metà dei voti espressi. Tre formazioni che in un modo o nell’altro non rappresentano solo un’alternanza all’interno del sistema politico, come è normale che sia in una democrazia, ma un possibile cambiamento del funzionamento del sistema politico stesso.

Luigi Di Maio, il capo politico dell’M5S, ostenta moderazione e affidabilità, tuttavia i progetti sono lì, scritti nero su bianco: critiche all’Europa, e in particolare la sua moneta, l’Euro, colpevole, a suo dire, di una perdita di competitività economica dei paesi del sud del continente. E poi c’è la democrazia diretta, l’appello al popolo, liberato da pesi e contrappesi. Un popolo, quello immaginato dai 5 stelle, che si sostituisce ai rappresentanti grazie alla piattaforma Rousseau.it, il “sistema operativo” attraverso il quale i cittadini/militanti possono esprimere, plebiscitariamente, con un si o con un no, la propria opinione sulla vita del “non” partito. Tutto è virtuale perché le sedi fisiche, si legge nel “non” statuto, non sono previste.

Molte le ragioni che hanno portato a una sonora bocciatura di tutti i protagonisti della vita politica degli ultimi due decenni, in particolare il partito democratico di Matteo Renzi, passato dal 40% ottenuto alle elezioni europee del 2014 a uno scarso 20%. Sullo sfondo i timori di un globalizzazione spersonalizzante che, peraltro, è all’origine della crisi economica del 2008. Condizioni di vita sempre più precarie e, quindi, un futuro che appare come poco rassicurante. Così, la comunità, anche se virtuale, diventa un rifugio dentro al quale nascondersi.

Non è un caso che le formazioni che più si sono spese contro l’immigrazione e per un ritorno alla sovranità, tra cui anche i pentastellati, abbiano visto lievitare i propri consensi.

Tappa dopo tappa, elezione dopo elezione, lo spettro del populismo è andato rafforzandosi in Francia con il Front National (FN), in Germania con l’Allianz für Deutschland (AfD), in Austria il Freiheitliche Partei Österreichs, (FPÖ), ma è in Italia che ha ottenuto la sua più consistente vittoria.

Non si può capire l’Italia senza guardare al mondo occidentale nel suo insieme. Non è un caso che Steve Bannon, stratega della campagna elettorale del presidente USA Donald Trump, sia uno dei grandi entusiasti dei risultati di questa tornata elettorale, lui che, in un intervista rilasciata pochi giorni fa, ha caldeggiato l’ipotesi della formazione di un governo Lega/5Stelle.

In un momento in cui il progetto europeo sta soffrendo un impasse, e in cui ci sarebbe bisogno di una leadership coraggiosa capace di portare avanti un’integrazione maggiore, si prospetta invece un ulteriore raffreddamento. La Lega guarda a Putin e alla Le Pen, Fratelli d’Italia a Victor Orban. La politica estera della penisola potrebbe quindi guardare più ai paesi del gruppo di Viségrad che non a Bruxelles, a modelli politici più autoritari e meno liberali.

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