di Roberto Bertoni.

Bellissimo il discorso del presidente Mattarella: un messaggio di fine anno ricco di idee e valori, breve ma intenso, significativo, volto a rassicurare il Paese ma, al tempo stesso, ad indurlo a riflettere. Un invito ai giovani a recarsi alle urne, corredato da un riferimento storico che dovrebbe smuovere qualcosa nelle coscienze assopite di una Nazione in preda al rancore e al disincanto e, purtroppo, disabituata alla memoria storica e all'analisi di lungo respiro su ciò che è avvenuto prima di noi. I ragazzi del '99 citati da Mattarella sono, infatti, i diciottenni che nel 1917 vennero richiamati alle armi dopo la disfatta di Caporetto, con la quasi certezza di andare a morire sulle vette dolomitiche o nell'inferno delle gole carsiche, in quei paesaggi diroccati e strazianti resi immortali dai versi di Ungaretti. A me è capitato, invece, di incontrare, nell'ambito della Scuola di Politiche di Letta, una ragazza del '99 di oggi: europeista, radiosa, felice, con il mito di Altiero Spinelli e la possibilità di coltivare l'ideale di un mondo senza confini, in cui le frontiere sono più un fatto convenzionale che una realtà effettiva. Del resto, io stesso sono stato bambino nell'Europa di Prodi e di Delors, nell'Europa rinata dalle macerie del Muro di Berlino, nell'Europa dei ponti, dell'integrazione e del lungo viaggio che ci ha condotto verso il 2000 e oltre, in un nuovo secolo e in un nuovo millennio. Per comprendere l'unicità dei cosiddetti "millennials", basti pensare che solo due generazioni, prendendo in esame il periodo storico dopo Cristo, hanno avuto il privilegio di assistere ad un cambio di millennio: i primi con il terrore che l'anno 1000 comportasse la fine del mondo, da cui la definizione apocalittica di "millenarismo", e poi noi che, al contrario, abbiamo visto nel 2000 un nuovo inizio, una nuova prospettiva, un nuovo orizzonte schiudersi davanti ai nostri occhi. In questi diciotto anni è successo di tutto, per carità: l'11 settembre, due guerre sanguinose con le rispettive conseguenze, la crisi economica peggiore dal '29, la tragedia di una generazione che si sente abbandonata e perduta, la crisi globale della politica e i tentativi di farla rinascere dal basso che hanno generato talvolta formazioni populiste e pericolose e altre volte, invece, soggetti di grande valore come il nuovo Labour di Corbyn o il versante sanderista dei democratici americani; senza dimenticare Syrza, Podemos e, per alcuni aspetti, anche il M5S pre-Di Maio.
Una generazione privilegiata, dunque, ma tradita dagli eventi, cosciente di godere di un contesto complessivo assai migliore rispetto a quello delle generazioni precedenti e, proprio per questo, a ragione, ancor a più arrabbiata: questi sono i ventenni di oggi, cui il presidente Mattarella ha rivolto un appello non solo pienamente condivisibile ma anche di altissimo valore democratico e istituzionale. Non a caso, l'altro concetto al centro del discorso del presidente è stata la Costituzione, la sua importanza e il ruolo cruciale che essa ha giocato in questi settant'anni e che continuerà a giocare in futuro, con la sua bellezza quasi letteraria e i suoi princìpi imprescindibili e, ahinoi, in molti casi, drammaticamente inattuati. La costituzione figlia della Resistenza, dei suoi protagonisti e de suoi martiri; la Costituzione ant-fascista che pone al centro il lavoro e la sovranità popolare; la Costituzione che, negli ultimi anni, ha subito attacchi tremendi e che anche in questi giorni viene messa in discussione da un soggetto politico, il M5S, che si ostina a blaterare di vincolo di mandato per i parlamentari pur avendo avuto un ruolo molto importante nella difesa della medesima Carta nel triennio della cavalcata renziana. Una compagine, il M5S, che purtroppo ha scelto la strada dello statuto ottriato e delle decisioni dall'alto, con un leader doroteo e inviso a buona parte della base storica che, infatti, comincia a vacillare, come si evince da alcuni lucidi editoriali di Travaglio sul Fatto, ossia di uno degli osservatori più benevoli nei confronti dell'avventura grillina, il quale tuttavia sembra non aver accettato questa svolta governista e in netto contrasto con i capisaldi, forse un po' ingenui ma comunque preferibili al cinismo attuale, delle origini.
La non politica, dunque, sta avanzando ad ampie falcate in questo regno del caos e del disordine che è la politica italiana nell'anno di di (dis)grazia 2018, con un voto che potrebbe rivelarsi pressoché inutile e un Gentiloni che era stato scelto da Renzi giusto per tenergli in caldo la poltrona per qualche mese e che , al contrario, con uno stile pacato e per nulla rissoso, si è ritagliato un ruolo da riserva della Repubblica.
La non politica che non appassiona, non stimola analisi e riflessioni, non genera passioni e non riesce ad avvicinarsi ai giovani, nonostante l'esortazione di Mattarella e le tante belle storie simili a quelle della ragazza che ho conosciuto alla Scuola di Politiche e descritto poc'anzi. Una sfida enorme soprattutto per la sinistra, chiamata a restituire una ragione e un senso alla vita e alla passione civile delle nuove generazioni per poter essere nuovamente credibile quando, legittimamente, andrà a chiedere loro il voto con la promessa di risolverne i problemi, primo fra tutti quello di un lavoro sempre più precario e mal pagato che non consente adii nostri ragazzi costruirsi un domani.
La non politica delle promesse roboanti, dei bonus e delle mance, degli annunci e delle chiacchiere, delle coperture ballerine o, peggio ancora, incostituzionali; la non politica che è, al tempo stesso, cattiva politica ed è quel modello amministrativo che ci ha condotto sull'orlo del baratro prima e nell'interminabile stagione dei governi tecnici o di larghe intese poi.
La non politica che Mattarella ha sfidato a viso aperto, contro cui si è scagliato con la sua pacatezza costruttiva e i suoi toni volti a svelenire un clima di per sé pessimo; la non politica che tutti noi siamo chiamati a mettere in minoranza il prossimo 4 marzo, affidandoci a partiti seri, credibili e composti da persone le cui biografie parlano da sole e profumano di impegno, di onestà e di battaglie in difesa dei diritti, siano essi sociali o civili. Ci sono forze così: ci sono e meritano fiducia e rispetto. Magari sono piccole, poco pubblicizzate e il più delle volte irrise dal pensiero unico dominante; tuttavia, proprio per questo, meritano il nostro sostegno. Perché non è vero che sono tutti uguali, che tutti rubano alla stessa maniera: come spiega De Gregori in uno dei suoi capolavori, questo è solo un modo "per convincerti a restare chiuso dentro casa quando viene la sera". Solo che bisogna avere il coraggio di rivolgersi all'Italia migliore: in politica e in ogni altro ambito della nostra vita quotidiana. Altrimenti non rimangono che la rabbia e il lamento ma con la rabbia e il lamento non si costruisce nulla, se non un Paese peggiore, più diseguale e in cui la politica finisce col perdere la sua doverosa centralità.

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